Quando colpiscono a morte una città che conosci, dove sei stato molte volte nella tua vita lasciandoci molte esperienze vissute e che hai letto in tante pagine che hai amato, il dolore per l’uccisione di persone innocenti si unisce al dolore per quella città. Oggi, mentre i filmati cominciano a sfumare dalle cronache, penso a Manuel Vàzquez Montalbàn, che in Labirinto greco e Sabotaggio Olimpico descriveva la scomparsa della vecchia Barcellona per fare posto all’igiene speculativa del grande evento olimpico. Montalbàn era nato nel Barrio Chino, un quartiere proletario addossato alla Rambla. Un quartiere povero, abitato da persone povere in vicoli che assomigliavano molto a quelli di Genova se non per una pianura più generosa di spazio e di pendenze più morbide nelle strade che risalgono dal mare all’interno. Il Barrio Chino fu tra i primi ad essere riqualificato a beneficio della nuova industria del turismo, sperimentando quella che oggi chiamano gentrificazione. I Poveri li spostarono semplicemente altrove, un poco più in là. E penso a cosa avrebbe fatto Pepe Carvalho dopo aver visto quello che è successo il 17 agosto. Sarebbe andato a Vallvidrera, avrebbe cucinato con rabbia, litigato con Biscuter, magari chiamato Charo e alla fine avrebbe bruciato un libro. Ma penso che sarebbe stato contento di vedere che la sua Barcellona è rimasta quella del franchismo: una città che non ha paura. Che non si sposterà un po’ più in là.
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Gennaio 2018
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