Acquistare libri non è mai stato così facile.
Effettivamente non c’è mai stata, nella storia umana, una disponibilità di libri vasta come in questo nostro tempo. I libri sono reperibili in grandi discount culturali che offrono, oltre ai semplici volumi rilegati in brossura e alle edizioni economiche, una serie di beni e servizi che va dagli articoli di cartoleria ai supporti tecnologici; dai giochi alle guide turistiche (che assomigliano molto ai libri ma non sono esattamente la stessa cosa); dall’arredo di design, ai calendari, agli snack. Nello stesso tempo il commercio via internet di libri è sempre più florido e si possono trovare siti ultra specializzati e siti di notorietà globale come Amazon che sono di fatto una biblioteca smisurata, da cui chiunque può attingere seduto davanti al suo palmare. Questo processo di concentrazione del mercato della distribuzione ha numerosi vantaggi ma, come tutte le trasformazioni imposte dalla creatività del capitalismo, ha gli stessi effetti di un’orda di Unni sui territori da essi attraversati: difficilmente l’erba crescerà ancora e comunque non sarà più la stessa. Joseph Schumpeter, uno di quegli studiosi spesso citati ma raramente studiati davvero, definì questo fenomeno distruzione creatrice. Con un affascinante ossimoro, Schumpeter descriveva con eleganza e, soprattutto, giustificava gli effetti collaterali di ogni innovazione, ovvero la scomparsa di tutto ciò che viene sostituito da quello che risulta essere più moderno ed efficiente. La fortuna della formulazione è nel suo cinismo linguistico: la presenza dell’aggettivo creatrice addolcisce il sostantivo distruzione che è in realtà il vero effetto del cambiamento. Il risultato è che mentre Attila l’Unno è ancora oggi archetipo di morte e devastazione, nonché sinonimo di barbaro; personaggi come Jeff Bezos sono rappresentati come eroi dell’innovazione e del progresso; manager molto cool i cui precetti sono degni di essere raccolti in breviari per aspiranti al successo negli affari e nella vita, a beneficio dei numerosi devoti idolatri della creatività e del talento. Ci si può così dimenticare che i grandi discount culturali e l’e-commerce hanno spazzato via le piccole librerie, con le loro dimensioni ridotte, la loro gestione familiare e la presenza di commercianti esperti che in genere amavano leggere quanto i loro clienti, se non di più. Se quindi, per un lettore contemporaneo, è molto più facile trovare libri rari e fuori catalogo o semplicemente libri che non hanno garantito una tiratura sufficiente per meritarsi una lunga permanenza negli scaffali delle grandi librerie; è allo stesso tempo diventato molto difficile, se non impossibile, rivivere alcune delle sensazioni che si potevano provare un tempo quando si andava in libreria. Innanzitutto le piccole librerie sono praticamente scomparse, come i negozi di dischi e le sale cinematografiche che non siano multisala. Delle tre librerie di Genova in cui facevo i miei acquisti al tempo dell’Università (parliamo degli anni ’90, non del pleistocene), neanche una esiste più. Al posto della gloriosa Di Stefano di Via Roccatagliata Ceccardi c’è una profumeria; al posto della Feltrinelli di Via Bensa un’erboristeria, al posto di Liguria Libri e Dischi di Via XX Settembre (la prima a chiudere, dal momento che vendeva soprattutto dischi) un negozio di vestiti grandi marche. La cosa più inquietante è che se si cercano su Google immagini di questi luoghi si scopre che in rete non ne esiste alcuna documentazione fotografica. Faccio quindi appello a tutti coloro che per qualunque ragione conservino una foto di una di queste librerie perché la condividano su questo blog, insieme ai loro ricordi. Un appello esteso a chiunque abbia la sua libreria perduta e voglia usare questo sito per ricordarla o ritrovarla.
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Simone Farello feat Gyorgy LukacsOgni forma d'arte è definita dalla dissonanza metafisica della vita. Archivi
Gennaio 2018
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