Il computer ha la stessa squisita spietatezza della catena di montaggio (Edoardo Sanguineti, ‘Tesi su Il Manifesto’, 1998) I licenziamenti via PEC che continuano a raggiungere i lavoratori di Ericsson alle loro postazioni nel sedicente Villaggio High Tech della collina di Erzelli a Genova, costringe a prendere definitivamente atto che il capitalismo muta il proprio linguaggio, le proprie tecnologie, il proprio modo di produzione ma non la sua logica. Una logica basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. L’idea che i settori innovativi dell’information & communication technology e l’elevata scolarizzazione proteggessero i lavoratori dalle dinamiche delle crisi cicliche del capitalismo era semplicemente uno dei tanti inganni sotto forma di utopia del progresso inarrestabile promulgato dai padroni. Che questi ultimi siano degli Scrooge in bombetta, dei Vittorio Valletta in manicotto o dei top manager con palmare, il risultato non cambia. La sinistra “diversamente entusiasta” dei progressi del capitale ha molto da interrogarsi sui suoi abbagli, che coinvolgono sia i “riformisti asettici” del Pd – molto propensi a pensare che il nuovo contenga in sé il progresso – sia gli anarco radicali che nella creatività fuori degli schemi vedono baluginare il lampo profetico della rivoluzione. I primi sono quelli che pensano che il nuovo capitalismo possa essere governato senza prima averlo criticato e contrastato; i secondi sono quelli che affiggono manifesti a lutto per Steve Jobs, sacrificando alla memoria del genio talentuoso e sognatore la consapevolezza dei misfatti nella dislocazione della produzione e nel pionierismo del licenziamento via cavo (a banda ultra larga, sia chiaro). Questa prosecuzione dello sfruttamento con altri mezzi trovava già il suo pronostico nel saggio di Edoardo Sanguineti “Tesi su Il Manifesto’ raccolto ne ‘Il chierico organico’. dove si comprende che l’unica cosa che potrebbe cambiare le cose, per quei lavoratori di Ericsson e per tanti altri, è una politica migliore. Ma per una politica migliore sarebbe necessario recuperare, tra le tante cose che una sinistra riformista o meno dovrebbe essere in grado di conservare, una capacità di lettura e critica della realtà che non si misuri in bit ma in tempo storico e che sia in grado di recuperare la dimensione della realtà materiale. Quello che è successo ai lavoratori di Ericsson, di cui sono stato collega, non deve suscitare una scontata solidarietà e una comoda indignazione, ma obbligare all’autocoscienza. Di classe.
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Gennaio 2018
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