Non si impara il latino e il greco per parlare queste lingue, per fare i camerieri o gli interpreti o che so io. Si imparano per conoscere la civiltà dei due popoli, la cui vita si pone come base della cultura mondiale. La lingua latina o greca si impara secondo grammatica, un po’ meccanicamente: ma c’è molta esagerazione nell’accusa di meccanicità e aridità. Si ha a che fare con dei ragazzetti, ai quali occorre far contrarre certe abitudini di diligenza, di esattezza, di compostezza fisica, di concentrazione psichica in determinati oggetti. Uno studioso di trenta-quarant’anni sarebbe capace di stare a tavolino sedici ore filate, se da bambino non avesse «coattivamente», per «coercizione meccanica» assunto le abitudini psicofisiche conformi? Se si vogliono allevare anche degli studiosi, occorre incominciare da lì e occorre premere su tutti per avere quelle migliaia, o centinaia, o anche solo dozzine di studiosi di gran nerbo, di cui ogni civiltà ha bisogno. […] Anche lo studio è un mestiere e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio anche nervoso-muscolare, oltre che intellettuale: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo e il dolore e la noia. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media tende a rallentare la disciplina dello studio, a domandare facilitazioni. Molti pensano addirittura che la difficoltà sia artificiale, perché sono abituati a considerare lavoro e fatica solo il lavoro manuale. È una quistione complessa. Certo il ragazzo di una famiglia tradizionalmente di intellettuali supera più facilmente il processo di adattamento psicofisico [oggi meno vero, o è vero in un senso diverso]: egli già entrando la prima volta in classe ha parecchi punti di vantaggio sugli altri scolari, ha un’ambientazione già acquisita per le abitudini famigliari. Così il figlio di un operaio di città soffre meno entrando in fabbrica di un ragazzo di contadini o di un contadino già sviluppato per la vita dei campi. Ecco perché molti del popolo pensano che nella difficoltà dello studio ci sia un trucco a loro danno; vedono il signore compiere con scioltezza e con apparente facilità il lavoro che ai loro figli costa lacrime e sangue, e pensano ci sia un trucco. In una nuova situazione politica, queste quistioni diventeranno asprissime e occorrerà resistere alla tendenza di rendere facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato. Se si vorrà creare un nuovo corpo di intellettuali, fino alle più alte cime, da uno strato sociale che tradizionalmente non ha sviluppato le attitudini psico-fisiche adeguate, si dovranno superare difficoltà inaudite. [Antonio Gramsci, Quaderni dal Carcere, 4 [XIII], 55] Come ogni anno il primo giorno di scuola, che in Liguria è stato oggi, è occasione di attenzione mediatica. Ma l’esposizione spettacolare dello scolaro che varca la soglia dell’istituzione educativa è ormai un’allegoria così come la descriveva Walter Benjamin: un’immagine completamente priva di aura, storicamente morta. Pura superficie, senza più nessun rapporto con i valori che quell’immagine avevano fondato e prodotto. La scuola così come le generazioni sino alla mia l’hanno pensata è legata in modo indissolubile alla società industriale e fordista. Ed è in questo senso che la descrive Antonio Gramsci in un passo molto citato dei Quaderni. Purtroppo il passo è tanto letto ed orecchiato quanto poco studiato. E’ prevalentemente ricordato per un motivo tanto nobile quanto sbagliato, ovvero la giustificazione del latino e del greco come materie di insegnamento; oltre che per la sua critica della divisione di classe dei percorsi scolastici, quando destinano i proletari alla scuola professionale e i borghesi ai licei. Questa attenzione a dettagli estratti dal contesto originario, per usarli in un certo dibattito contemporaneo, fa perdere di vista il punto decisivo del passo riportato, che non è in una difesa strenua delle lingue morte – che anzi sono date come discipline storicamente sostituibili - ma nella congiunzione che Gramsi istituisce tra studio e mestiere, con la conseguente assunzione del fatto che senza sforzo, dolore e noia lo studio, semplicemente, non è. Di qui l’ammonimento per cui occorrerà resistere alla tendenza di rendere facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato. Non abbiamo resistito. Le istanze individualistiche, ammantate dai miti della creatività ed il talento, (miti propri anche di molta sinistra) hanno creato il terreno su cui si sta edificando l’attuale scuola, che diventa facile perché tanto i percorsi di promozione sociale stanno fuori dalla scuola, almeno dalla scuola pubblica. E questo accade soprattutto perché l’appartato di produzione ha bisogno di meno lavoratori disciplinati, anche formati, ma di un numero sempre maggiore di consumatori liberi da qualunque fatica. Prima quindi di suggerire qualche libro in merito a questa regressione del valore dell’istruzione come mestiere; si tratta di chiarire che la quistione, anche per un reader, è se il leggere sia o no, prima di tutto, studiare. Una quistione che è prima di tutto degli insegnanti di italiano, dei genitori lettori e del loro rapporto con la disciplina e la fatica della lettura. Nota: la scelta dell'immagine di una edizione inglese dei Quaderni è provocatoriamente voluta. Purtroppo infatti un ritorno a Gramsci si avverte molto di più nell'accademia anglosassone che in quelli italiana.
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Simone Farello feat Gyorgy LukacsOgni forma d'arte è definita dalla dissonanza metafisica della vita. Archivi
Gennaio 2018
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